La mia vita in Cina

Angela

Da Cuneo in Cina per un anno

L’accoglienza appena arrivati in Cina è stata decisamente calorosa, anche perché i volontari sono persone “abituate” alla diversità, avendo già viaggiato e conosciuto un po’ di mondo per vari motivi e non guardano, ad esempio, l’Occidentale con gli occhi del resto del popolo, trovandolo cosa strana e assolutamente da fotografare.

Il campo iniziale, in cui ci hanno introdotto alla cultura cinese, si è tenuto in un hotel ed il momento più difficile è stato il primo pasto. Al di là di quello che c’era nei piatti, più o meno appetitoso, il problema che si è posto è stato come portarlo alla bocca: niente coltello e forchetta, ma un paio di bacchette! Fortunati i pochi che sapevano già usarle: io e la maggior parte degli altri ci siamo ritrovati, oltre che con i crampi allo stomaco, con i crampi alla mano.

Tutto questo non è niente, però, in confronto a quel marasma di fonemi che ronzavano rumorosamente intorno alle mie orecchie. Sono arrivata a Pechino il 20 agosto, dopo aver studiato il cinese da autodidatta per un mesetto. Credevo di essere in grado di pronunciare alcune “frasi chiave” necessarie per l’immediata sopravvivenza: mi sono ritrovata che nessuno capiva me e io non capivo assolutamente nessuno. Per un mese sono stata come in una bolla di sapone: di cinese, non solo neanche a parlarne, ma neanche a capirne, e l’inglese… sembrava un altro inglese!
Non vorrei che venisse frainteso tutto ciò, immaginando disinteresse nei miei confronti: anzi, questo è semplicemente il loro modo di vivere

Lo sconforto era tanto, al limite della sopportazione; finché un giorno mia sorella cinese (l’unica con cui fino ad allora avevo parlato, ma in italiano perché l’anno precedente aveva vissuto in Sardegna, ospitata da una famiglia con Intercultura) mi ha detto che era ora che mi “dessi una mossa”, era ora che iniziassi a parlare cinese. Non so se per convinzione o per risentimento, ho iniziato davvero a farlo: insieme alle altre due ragazze del programma di scambio, un’americana e una thailandese, abbiamo deciso di comunicare anche fra di noi soltanto in cinese, risultando ancora più strane a tutti gli altri.

Io ho svolto il programma in Boarding School, dove si entrava la domenica sera per lasciarla soltanto il sabato prima di pranzo. Le ore di studio nelle migliori scuole cinesi sono moltissime: per me era previsto lo studio della lingua nelle ore pomeridiane, durante le quali insegnanti o tutor AFS avevano il compito di insegnarmi il cinese, in teoria, ma in realtà, mi davano consigli per la sopravvivenza. Il tempo restante era tutto impegnato su un libro di grammatica.
Ho trascorso la maggior parte del tempo a casa con il papà, che ha condiviso con me, coinvolgendomi, la sua passione per la cucina e per il badminton

Per questo motivo, la frequenza di un collegio, ho vissuto molto poco in famiglia: dopo essere venuti a prendere me e mia sorella a scuola, si andava tutti insieme a pranzo dai nonni e poi si pensava alla spesa o alle necessità, prima di un sabato sera al cinema o al ristorante. La mamma aveva una posizione di rilievo al lavoro e, quindi, era molto impegnata; se non lo era, aveva bisogno di riposo. Per questo motivo ho trascorso la maggior parte del tempo a casa con il papà, che ha condiviso con me, coinvolgendomi, la sua passione per la cucina e per il badminton.

Non vorrei che venisse frainteso tutto ciò, immaginando disinteresse nei miei confronti: anzi, questo è semplicemente il loro modo di vivere. A dimostrazione di questo sono state le loro preoccupazioni in un'occasione in cui sono stata male fisicamente, dettate palesemente non solo da un senso di responsabilità.

Il papà mi ha anche accompagnata da un medico agopuntore, naturalmente dopo essersi assicurato che io fossi completamente d’accordo e consapevole: altra esperienza intensa, sia dal punto di vista medico che interiore.

Fra tante ore di studio, studio e studio non sono mancati momenti di relax che hanno contribuito a farci conoscere la vita e la cultura del PaeseDopo due mesi si è aperto uno spiraglio nella mia mente: cominciavo a capire quando mi parlavano e riuscivo a leggere, anche se libri per bambini! Finalmente a Natale, il mio Natale, parlavo ed interagivo con gli altri, ma ancora non mi sentivo a casa: quello no, sarebbe successo soltanto poco prima di ripartire per l’Italia.

Ogni due o tre mesi tutti noi studenti del programma di scambio nella mia regione ci ritrovavamo con i volontari per fare qualcosa di divertente insieme, oltre alle riflessioni di routine, utili per fare il punto della situazione - la nostra situazione personale. Dai pranzi in ristoranti tipici alle lezioni di calligrafia, dal viaggio nello Yunnan al corso di Gongfu, fra tante ore di studio, studio e studio non sono mancati momenti di relax che hanno contribuito a farci conoscere la vita e la cultura del Paese. In particolar modo la mia volontaria-responsabile era anche la mia tutor e mia insegnante: il rapporto era quindi particolarmente intenso e si è venuto a creare un legame di amicizia, oserei dire più stretto di quello con la famiglia, che comunque vedevo per un giorno a settimana.

Finalmente a Natale, il mio Natale, parlavo ed interagivo con gli altri, ma ancora non mi sentivo a casa: quello no, sarebbe successo soltanto poco prima di ripartire per l’Italia

Ad ogni incontro ci veniva lasciato un ricordino, magari una piccolissima cosa banale ma che, uno dopo l’altro, hanno riempito il mio armadietto, vuoto inizialmente, dal momento che avevo l’obbligo della divisa scolastica. Tutti quegli oggetti segnavano il mio tempo in Cina e rappresentavano il mio percorso: dapprima disposti ordinatamente come in esposizione ed infine ammucchiati in una confusione di esperienze, emozioni e ricordi.

Partendo dal presupposto che in Cina i lavoratori lavorano, lavorano, lavorano e gli studenti studiano, studiano, studiano, la mia giornata iniziava alla sei della mattina con la sveglia della scuola e finiva poco dopo le 22.30, quando le luci dei dormitori dovevano obbligatoriamente essere spente (ho preso ben due note per essermi fatta “beccare” a lavarmi i denti alle 22.34!).

La giornata a scuola si snodava fra lezioni, pulizia dell’edificio, del dormitorio e delle strutture comuni, un riposino dopo pranzo e un’attività a scelta prima di cena, per me il coro. A parte i primi mesi dedicati soltanto allo studio del cinese, in seguito ho frequentato anche i corsi di matematica, inglese, geografia, storia, filosofia, arte e musica. Prima o dopo cena, a scelta, si faceva la doccia: dieci minuti tassativi per ognuno in cui con un secchio ci si lavava da testa a piedi.
Ho raccolto anche soddisfazioni vincendo dei premi e partecipando a concerti del coro, che prevedevano tutta una particolare coreografia, dal trucco all’abbigliamento personale, dalla cena da asporto per le trasferte agli spostamenti in pullman

La domenica, a casa, i genitori facevano scorta di riposo per affrontare la nuova settimana: io, quindi, passavo il mio tempo a caricare le foto sul computer, guardare i ricordini lasciati dai volontari durante gli incontri e collegarmi a Skype per parlare con l’Italia. Una cosa, però, era tutta e soltanto mia: lezione di hulusi, uno strumento a fiato, a cui andavo da sola a piedi e durante la quale riuscivo, da sola, a comunicare con il mio insegnante e ad imparare a suonare. Un'altra grande conquista è stata riuscire a far da sola la spesa per le mie necessità: so che gli italiani nelle altre scuole erano molto più indipendenti e probabilmente era particolare la mia situazione. Nel mio istituto, infatti, gli studenti erano molto protetti e seguiti e questo ha vincolato anche la mia libertà.

Un bel giorno, però, ho capito che potevo essere parte di quel mondo e riuscirci dipendeva anche da meDurante le feste o vacanze che noi definiamo “comandate” è consuetudine fare qualche breve viaggio, qualche escursione o anche semplicemente uscire con gli amici, con cui si va ai karaoke (molto diffusi in Cina), al cinema o si fa una passeggiata in centro approfittando delle bancarelle che a bordo strada cucinano e vendono specialità locali. Non sono molto igieniche e non bisogna pensare agli ingredienti ma, una volta chiusi gli occhi e messe in bocca le bacchette, lo spettacolo è assicurato!

Ho anche seguito la mamma cinese in qualche suo spostamento di lavoro, riuscendo così a vedere alcuni posti in particolare e sono stata invitata a ben due matrimoni di suoi conoscenti: in questo modo ho partecipato a cerimonie molto suggestive, forse anche perché diverse dalle nostre ed ho conosciuto e vissuto abitudini e usanze che solo così da vicino si possono apprezzare.
Maggiore è l’impegno, pur senza risultati come può capitare, maggiori sono la stima e la considerazione che gli adulti hanno dei ragazzi, sia in ambito scolastico che fuori

Il cameratismo maggiore, come è facilmente immaginabile, nasce fra compagni di dormitorio: le chiacchiere e le confidenze fatte al buio, la sera, calate il più possibile sotto la coltre di numerose coperte per cercare un po’ di tepore sfuggendo al freddo che entra dalle finestre spalancate anche in inverno (e nel sud della Cina, dove mi trovavo io, non c’è il riscaldamento) sono un salutare momento di relax al termine di giornate intensissime, ma silenziose.

Non si parlerà mai certo di “cene di classe”, perché sarebbe impensabile riuscire a mettere insieme un sabato sera quei cinquanta studenti che magari arrivano anche da parecchio lontano. Con tutti loro, però, e gli altri studenti della scuola, il lunedì mattina nel campo sportivo si prende parte alla cerimonia dell’alzabandiera, durante la quale si canta l’inno nazionale. Detto così potrebbe sembrare un momento di intensa partecipazione civica: in realtà, per tutti è una noia!

Tutto il mondo è Paese, si dice: anche fra i ragazzi cinesi, quindi, ci sono le invidie e le gelosie, specie in un ambiente in cui ci si impegna molto e si deve dare il massimo di sé. A questo proposito c'è un aspetto che mi ha toccata da vicino: maggiore è l’impegno, pur senza risultati come può capitare, maggiori sono la stima e la considerazione che gli adulti hanno dei ragazzi, sia in ambito scolastico che fuori. Questo l’ho vissuto sulla mia pelle: ho dato l’anima durante i miei mesi in Cina, ho lavorato, sofferto, patito il freddo, la solitudine e la nostalgia, mi sono sentita estranea ed estraniata. Un bel giorno, però, ho capito che potevo essere parte di quel mondo e riuscirci dipendeva anche da me. Poi, vedere la mia insegnante-tutor piangere alla mia partenza, ricevere il saluto ufficiale del preside, scoprire che la mia classe è riuscita a trovare il tempo(!) per prepararmi un album di dediche, sono emozioni che ripagano di mille e una fatica, che lasciano il segno nel cuore e nella mente e con questa “indelebilità” aiutano ad affrontare ogni nuova avventura, per quanto dura possa sembrare.

Angela

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