Connessioni interculturali

Sara

Sorella ospitante di Sofjia dalla Serbia in Italia per un anno

Sono figlia unica, però ho una sorella.
Un pomeriggio di qualche anno fa un amico di famiglia mi disse che sua figlia, poco più grande di me, sarebbe andata un anno in California per studiare.
Non mi fece né caldo né freddo, ero ancora troppo piccola.

Inizio le superiori e scelgo il Liceo Internazionale, rinomato per offrire l’opportunità ai ragazzi di conoscere il mondo.
Ora, che sono al terzo anno, posso dire che opportunità di questo tipo, con la scuola, difficilmente le potrei avere, perché un conto è partecipare ad uno scambio interculturale di un paio di settimane per mettere in gioco le abilità linguistiche e un altro è vivere un anno all’estero e cavarsela da soli.
Inizio a cercare al di fuori del liceo e dei soggiorni estivi. Stanca di inseguire un’occasione che non mi si sarebbe mai presentata davanti ripenso a quel pomeriggio, a quell’amico dei miei e di sua figlia. Lei era andata in America con un programma chiamato “Inter qualcosa” di cui non avevo più sentito parlare. Lo dico ai miei e dopo giorni di lunghe chiacchierate ho capito che volevo fare la stessa cosa.

Frequentavo il secondo anno di superiori, ne parlai con i professori che me lo sconsigliarono altamente. Mi dissero che il terzo anno sarebbe stato tosto per il cambiamento di materie e di programmi. Nessun carpe diem, purtroppo.
Potevo avere un’altra opportunità per conoscere il mondo: diventare una famiglia ospitante con Intercultura.

All’inizio ero un po’ dubbiosa, non sapevo come mi sarei trovata con un’altra persona in casa. Però dissi ai miei genitori che andava bene, non pensavo che poi si sarebbero informati sul serio. Due volontari di Intercultura vennero più volte a casa per verificare la nostra idoneità come famiglia ospitante. Inizialmente avevamo scelto di ospitare qualcuno soltanto per tre mesi, ma poi abbiamo cambiato idea perché volevamo essere coinvolti il più possibile in quest’esperienza.
Settembre è arrivato e quado Sofija, mia sorella serba, è arrivata alla stazione di Firenze non mi sembrava vero. Dopo quattro mesi che ci sentivamo tramite social networks, la sua immagine virtuale è diventata realtà. Ero commossa, entusiasta ma anche un po’ spaventata dalle troppe aspettative che rischiavo di deludere.

Una delle domande più frequenti è stata: “Perché lo fai se non hai niente in cambio?”, io rispondevo che il denaro non è tutto nella vita, che il bene che si prova per una persona vale molto di più. Bisogna essere pronti ma soprattutto volerlo. Dieci mesi sembrano tanti ma quando sei già a metà del programma o alla fine vorresti che il tempo si fermasse per ricominciare tutto da capo.
Questo ha aperto i miei orizzonti, e consiglio di cogliere al volo occasioni come queste perché capitano poche volte nella vita.

Cinque mesi fa non sapevo come fosse avere una sorella che chiama disperata perché si è dimenticata le chiavi di casa o con cui litigare per il telecomando della televisione e con cui scambiare trucchi o vestiti che poi non rivedrai più. In quest’arco di tempo una persona, a me sconosciuta prima, è diventata un componente della mia famiglia come se la conoscessi da sempre. Intercultura mi ha dato la possibilità di stringere un legame così forte con una persona a tal punto di definirla “sorella”. Quest’esperienza ha fatto crescere me e anche i miei genitori che ora si definiscono come i “genitori” italiani di Sofija.
La mia famiglia, gli amici, i volontari di Intercultura, i compagni di scuola, gli insegnanti e tutte le persone che Sofija ha incontrato nel suo soggiorno italiano faranno parte della sua crescita in modo indelebile e sono orgogliosa di farne parte.
Sono figlia unica, però ho una sorella.

Sara

Sorella ospitante di Sofjia dalla Serbia in Italia per un anno

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